Presso la nostra Clinica si effettua da sempre terapia trasfusionale. Effettuiamo TRASFUSIONI DI SANGUE COMPATIBILI e dei suoi emocomponenti, in corso di emorragie, anemia, difetti della coagulazione ed altre patologie, al fine di migliorare le condizioni cliniche e salvare la vita dei nostri amici in difficoltà. Sarebbe sempre opportuno scoprire il GRUPPO SANGUIGNO del vostro cane e del vostro gatto per ogni necessità. In pochi minuti possiamo farlo! Vi consegneremo il referto e una medaglietta con inciso il gruppo sanguigno di appartenenza.
La dermatite atopica è una malattia molto frequente che colpisce il 10-35% dei cani, caratterizzata da una tendenza , in soggetti predisposti a sviluppare una risposta esagerata in seguito a ripetute esposizioni ad allergeni ambientali.
Gli allergeni più coinvolti sono : pollini, muffe, acari della polvere. Nel cane è stata dimostrata anche una predisposizione razziale: Scottish Terrier, Fox Terrier, Boxer, Labrador Retriever, West Highland White Terrier, Cocker Spaniel. Le manifestazioni cliniche sono inizialmente stagionali (primavera ed estate in circa l'80% dei casi), ma con il passare del tempo diventano evidenti tutto l'anno e l'aggravamento è legato al progressivo sviluppo di nuove allergie man mano che il soggetto è esposto ai pollini: invece in quei soggetti che presentano la malattia tutto l'anno (per es. in quelli allergici agli acari della polvere) i sintomi possono essere non stagionali.
Il primo sintomo è il prurito, di solito, in assenza di altre lesioni. Le aree colpite sono labbra, pelle intorno agli occhi, orecchie, ascelle e inguine. Spesso si sviluppano anche infezioni secondarie come la colonizzazione da parte di lieviti e batteri che intensificano i sintomi, come prurito, alopecia (caduta del pelo), odore acre.
E' necessaria un'accurata visita ed un esame del pelo e della cute per poter arrivare ad una diagnosi corretta e una cura mirata.
La vipera è un serpente velenoso presente in Italia e le quattro specie che popolano il nostro paese sono distribuite in tutte le regioni ad eccezione della Sardegna, dove non vi sono serpenti velenosi. Il periodo in cui sono più attive va da marzo a ottobre. Prediligono ambienti soleggiati e anfrattuosi.
Le vipere italiane appartengono alla Famiglia dei Viperidi e sono così suddivise:
• La vipera aspis. Diffusa sulle Alpi e sugli Appennini, generalmente la si trova in luoghi caldi e asciutti.
• La vipera berus. Si trova generalmente nelle zone di montagna e dunque principalmente al Nord Italia. È una specie piuttosto aggressiva e se viene provocata attacca.
• La vipera ammodytes. Ha un piccolo corno sulla punta del muso. Si concentra prevalentemente nel nord-est. Predilige le zone aride e le pietraie. È poco aggressiva, tuttavia il suo veleno è il più pericoloso fra le specie presenti in Italia.
• La vipera ursinii. È presente nell’Appennino abruzzese ed umbro-marchigiano, in particolare sul Gran Sasso. È di piccole dimensioni ed è la meno pericolosa.
Come riconoscere una vipera?
Le vipere si possono riconoscere per la loro testa appiattita a forma triangolare oppure a losanga, il corpo, della lunghezza di circa 70 cm, è tozzo e la coda è smussa e corta. Il veleno di questi serpenti è un miscuglio di acqua, diverse proteine molto tossiche e una varietà di enzimi che causano un danno locale ai tessuti e facilitano l’ingresso del veleno nella circolazione sistemica. Gli effetti locali e sistemici che del morso di vipera sono di tipo: cardiotossico, nefrotossico, neurotossico e della coagulazione.
Per inoculare il veleno, le vipere si servono di lunghi denti mobili, che, penetrando nella cute del cane, iniettano il veleno attraverso i canali. Succede a volte che la vipera tenti di mordere senza utilizzare i denti del veleno, ovvero sferra il cosiddetto “morso secco” e, in questo caso, non si osservano i fori di entrata dei denti. Questo tipo di morso è totalmente innocuo. D’altronde il veleno è essenziale per la vita delle vipere e quindi l’animale, tende a non sprecarlo mordendo animali che non vuol predare. Per questa ragione capita che l’animale, sebbene morso, non ha comparsa di segni clinici tipici dell’avvelenamento ma riporta soltanto una reazione infiammatoria locale nel sito del morso.
I denti della vipera lasciano dei segni non sempre facili da individuare, ma in genere sono 2 piccoli fori distanziati da 1 cm.
Le parti più colpite sono di solito le estremità, il muso e gli arti. La zona colpita va subito incontro a rossore, gonfiore e dolore; il muso dell’animale può gonfiarsi notevolmente fino a deformare interamente il profilo normale.
Una delle caratteristiche principali che consente di distinguere le vipere da una più innocua biscia, anch’essa presente nel nostro paese, è la forma delle pupille. Infatti, i loro occhi hanno pupille verticali, simili a quelle dei gatti, a differenza di quelle rotonde tipiche delle bisce.
È molto importante far presente che le vipere non si possono uccidere, in quanto appartengono ad una specie protetta e sono utili all’ecosistema.
Quali sono i sintomi dell’avvelenamento da morso di vipera?
I segni clinici generalmente comprendono:
- debolezza improvvisa
- respirazione affannosa
- forti guaiti al momento del morso del serpente
- gonfiore e dolore nel punto del morso
Come intervenire in caso il cane sia stato morso da una vipera?
Per prima cosa, occorre portalo IMMEDIATAMENTE al pronto soccorso veterinario più vicino. Durante il tragitto è bene tenere il più calmo e tranquillo possibile l’animale. Non bisogna in nessun modo cercare di praticare incisioni e non si deve tentare di succhiare via il veleno. Il medico si occuperà di instaurare le adeguate terapie di sostegno di base. A questo punto, il veterinario cercherà di tranquillizzare il cane, somministrerà una terapia fluida per via endovenosa e farmaci antibiotici, antidolorifici e antinfiammatori per prevenire infezioni batteriche e attenuare lo shock e il dolore dell’animale.
Il cane deve rimanere sotto osservazione soprattutto per le prime 72 ore. Questo perché occorre monitorare la presenza di emorragie e tenere sotto controllo l’insorgenza di possibili complicanze di tipo renale, epatiche o neurologiche dovute alla complessità delle sostanze da metabolizzare.
È importante ricordare che molti avvelenamenti possono avere un’insorgenza di sintomi più seri anche diverse ore dopo al fatto avvenuto, per questo è molto importante recarsi immediatamente in un pronto soccorso veterinario se c’è il sospetto di un morso di vipera.
L’ipertiroidismo è un disturbo piuttosto comune che solitamente colpisce gatti adulti o anziani. Chiamato anche tireotossicosi, è causato da un aumento della produzione di ormoni T3 e T4 da parte della ghiandola tiroidea posizionata nel collo del gatto. Nella maggior parte dei casi, l'ingrossamento di tale ghiandola è causato dalla presenza di un tumore benigno (adenoma) e solo in casi rari è sintomo di un tumore maligno (carcinoma o adenocarcinoma tiroideo).
Sintomi dell’ipertiroidismo nel gatto
È difficile identificare la presenza di ipertiroidismo nel proprio gatto senza una diagnosi accurata da parte del veterinario. Infatti, soprattutto ai primi stadi, i gatti affetti da ipertiroidismo sviluppano una varietà di sintomi che potrebbero anche passare inosservati. Solo in un secondo momento, con il passare del tempo e il progredire della malattia, i sintomi diventano sempre più gravi ed evidenti.
I segni più comuni di ipertiroidismo sono:
pelo spettinato, arruffato o grasso
perdita di peso
aumento dell'appetito
aumento della sete e della minzione
vomito
diarrea
iperattività
In ogni caso tenete presente che un’altissima percentuale di gatti oltre i 10 anni sviluppa questa patologia, e se anche non si manifestano in maniera palese i sintomi sopraelencati è possibile, attraverso un esame del sangue, escluderne o meno la presenza.
Diagnosi di ipertiroidismo nel gatto
Un sospetto caso di ipertiroidismo viene generalmente diagnosticato dal veterinario attraverso diversi passaggi, tra i quali:
palpazione del collo del gatto, per verificare il possibile ingrossamento della ghiandola tiroidea
controllo della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna
analisi del sangue e dei suoi componenti, tra i quali i livelli dell’ormone tiroideo
In linea di massima, quando le analisi evidenziano livelli elevati di ormone tiroideo T4, significa che siamo di fronte ad un caso di ipertiroidismo.
Trattamento dell’ipertiroidismo nel gatto
Esistono diversi tipi di trattamento per l'ipertiroidismo felino; è possibile ricorrere a cure farmacologiche, a terapie con iodio radioattivo, oppure alla chirurgia.
Cure farmacologiche
Esistono farmaci antitiroidei capaci di equilibrare i livelli nel sangue di ormone tiroideo; non forniscono una vera e propria cura, ma permettono di mantenere sotto controllo la patologia sia nel breve, sia nel lungo periodo. Nella maggior parte dei casi si rivelano efficaci, ma è sempre consigliato sottoporre il proprio gatto ad esami del sangue periodici, in modo riconoscere eventuali effetti collaterali, generalmente legati alla funzionalità renale.
Terapia con iodio radioattivo
Questa terapia consiste nella somministrazione per via endovenosa di iodio radioattivo, necessario per la produzione degli ormoni T3 e T4; la radiazione emessa distrugge il tessuto tiroideo anomalo senza andare a danneggiare le aree circostanti. Il trattamento ha una percentuale di riuscita pari al 95% dei casi: la maggior parte dei gatti trattati evidenzia livelli normali di ormone tiroideo entro una o due settimane dall’inizio della terapia. La radioattività non comporta rischi significativi per l’animale, ma sono necessarie misure precauzionali di protezione per le persone che vivono con lui.
Chirurgia
Per curare l’ipertiroidismo nel gatto è possibile intervenire chirurgicamente attraverso la rimozione della ghiandola tiroidea (tiroidectomia chirurgica); si tratta di una procedura che riscontra successo nella maggior parte dei casi trattati. Nonostante questo, è sconsigliata nei gatti che soffrono di problemi cardiaci e renali, in quanto effettuata in anestesia totale.
Per comunicare tra loro, i gatti usano combinazioni complesse di segni, vocalizzazioni e odori. Indizi importanti come lo sguardo, il tipo di miagolio, la posizione delle orecchie e i movimenti della coda possono rivelarci i loro sentimenti e le loro intenzioni. Quest’articolo riunisce i principali aspetti comunicativi alla base del linguaggio dei gatti, applicati a 6 contesti emotivi.
Come leggere e capire il linguaggio dei gatti
Sebbene i gatti possano sembrare difficili da decifrare, ci sono molti segni rivelatori che danno un'idea del loro umore. Grazie a questa breve guida, potrai distinguere alcuni degli atteggiamenti più comuni tra i nostri compagni.
1. Rilassato
Questo è il modo in cui il tuo gatto dovrebbe trascorrere la maggior parte delle ore di veglia, in un ambiente familiare e confortevole.
Distesi, raggomitolati o sdraiati sul davanti con le zampe nascoste sotto di loro, questi sono i principali segni con i quali i gatti comunicano di essere tranquilli. Le palpebre sbattono leggermente o sono semichiuse. Le orecchie sono rilassate, così come i baffi. Nel corpo non si intravede alcuna tensione.
2. Attento
Può sembrare un animale quieto e innocuo, ma sin dalla nascita il tuo gatto è progettato per cacciare. È in grado di seguire e catturare le sue prede con una facilità disarmante ed è capace di focalizzarsi al 100% sul suo obiettivo.
Gli occhi sono spalancati e le pupille strette, le orecchie e i baffi sono inclinati in avanti, il corpo è proteso verso l’obiettivo. La coda è tenuta bassa e la punta trema un po’ nell’attimo precedente al balzo. Alcuni gatti, sovraeccitati dalla vicinanza di una potenziale preda, emettono il tipico verso predatorio, simile ad uno schiocco ripetuto.
3. Ansioso
I gatti possono essere molto sensibili, specialmente ai cambiamenti. Riconoscendo determinati segnali nel linguaggio del tuo gatto, puoi aiutarlo ad abituarsi più velocemente ad un cambiamento, ad esempio dopo un trasferimento.
Gli occhi sono aperti, le palpebre immobili e le pupille dilatate. Le orecchie sono spostate in avanti e la testa appiattita. Man mano che l'ansia aumenta, il tuo gatto potrebbe iniziare a rannicchiarsi e la sua schiena ad arcuarsi per prepararsi a correre. In questi casi, la coda è ferma o si muove lentamente da un lato all'altro.
4. Frustrato
La frustrazione non è necessariamente legata ad un evento traumatico e a lungo termine. Il tuo gatto potrebbe essere frustrato perché non riesce a raggiungere il suo giocattolo preferito oppure perché non sta esprimendo appieno il bisogno di cacciare.
Un gatto frustrato di solito si concentra intensamente sulla causa della sua frustrazione! Gli occhi sono spalancati, le pupille dilatate, le orecchie e i baffi puntano in avanti e il loro miagolio si fa grave e prolungato. I gatti non mantengono a lungo questa frustrazione, se non riescono a ottenere ciò che vogliono, si arrendono. Generalmente, i gatti con una depressione costante e duratura sono letargici, non mangiano e non interagiscono.
5. Arrabbiato
Evita di provocare un gatto arrabbiato: non fissarlo, non fare movimenti improvvisi, non toccarlo e non cercare di confortarlo perché potrebbe interpretare il tuo tentativo di avvicinamento come una minaccia e reagire. In questo caso, è più prudente allontanarsi lentamente e dare tempo al gatto di calmarsi.
Puoi riconoscere un gatto arrabbiato perché rigido e con la coda tesa. Potrebbe emettere dei sibili e dei ringhi, assumere atteggiamenti minacciosi inarcando la schiena e mantenendo le zampe erette.
6. Sollievo
Proprio com’è importante capire quando il proprio gatto si sente arrabbiato o spaventato, imparare a riconoscere atteggiamenti di sollievo è la chiave per aiutarlo a sentirsi di nuovo bene.
In questi casi, i gatti allungano tutto il corpo per allentare la tensione. Gli occhi, le orecchie, la testa e la coda si rilassano visibilmente. I baffi si distendono e la testa si abbassa. Alcuni sbadigliano, altri voltano le spalle e chiudono gli occhi a metà, altri ancora iniziano a lavarsi accuratamente.
Non solo la coda, il gatto parla con tutto il corpo
I miagolii, i ringhi, gli sbuffi, i movimenti improvvisi… tutto (o quasi) del linguaggio dei gatti ci appare spesso indecifrabile e immotivato. Ma i loro proprietari sanno che i gatti non lasciano nulla al caso. Non miagolano in maniera arbitraria, ma sempre per un motivo ben preciso.
Occhi, orecchie, coda e baffi; ogni parte del corpo ha qualcosa da raccontare. Quando comprenderai meglio il tuo gatto, potrai iniziare a rispondere ai suoi bisogni. Ad esempio, il sibilo è un chiaro segno di allarme che può aiutare chiunque a reagire in modo corretto di fronte ad un gatto pronto all’attacco.
Abbiamo elencato solo alcuni dei segnali utili per capire lo stato d’animo di un gatto, ma ce ne sono molti altri e di molto più sottili da decifrare, in cui entra senz’altro in gioco anche la personalità di ciascun animale e il grado di interazione col suo proprietario. Del resto, chi ha la fortuna di vivere con molti gatti sa bene che ognuno di loro ha delle peculiarità che lo distinguono da tutti gli altri.
Sterilizzazione sì o no? Sono moltissimi i proprietari di cani e gatti che si trovano ad affrontare questa scelta. Per aiutarli a prendere la decisione giusta, abbiamo pensato di raccogliere alcune delle domande più frequenti che ci pongono i nostri clienti. Prima di parlarne però, vogliamo ricordare che il termine “sterilizzazione” indica generalmente 3 diversi tipi di intervento:
rimozione dei testicoli (orchiectomia)
rimozione delle ovaie (ovariectomia)
rimozione sia delle ovaie che dell’utero (ovariosterectomia)
Occupandoci in questo articolo solo del mondo femminile, ci riferiremo unicamente agli ultimi due interventi.
Perché dovrei sterilizzare la mia gatta o la mia cagna?
Fino a qualche anno fa si credeva che la sterilizzazione fosse utile solo al fine di prevenire le nascite indesiderate, soprattutto per quanto riguardava cani e gatti randagi.
Oggi invece, oltre che per la lotta al randagismo si è capito che la sterilizzazione è importante in ottica preventiva: soprattutto nelle cagne permette di ridurre drasticamente (di quasi il 90%) la possibilità di incorrere in tumore della mammella, tumore dell’utero e altre infezioni. Quasi tutte le pazienti più anziane, che vengono portate in clinica con queste patologie, sono infatti non sterilizzate e va detto che curarle, quando ormai sono presenti altre infezioni, disfunzioni renali o soffio al cuore, è molto più rischioso rispetto ad un intervento di sterilizzazione eseguito quando l’animale è giovane e in salute.
A quale età dovrei sterilizzare la mia cagna?
Il momento giusto per sterilizzare una cagna è al completamento dello sviluppo fisico, stando però attenti a non aspettare troppo! La sterilizzazione a scopo preventivo (per allontanare cioè il rischio di incorrere nelle malattie di cui abbiamo parlato prima) deve infatti essere eseguita prima che entrino in circolo quegli ormoni che andrebbero a stimolare altri apparati come mammella e utero.
In linea generale la sterilizzazione dovrebbe essere eseguita dopo 2/3 calori, intorno ad 1 anno di età. Esistono però alcune differenze tra i cani di piccola taglia e quelli di taglia medio/grande. Le cagnoline di piccola taglia di sviluppano molto precocemente e arrivano ad essere completamente formate prima dell’anno; quelle di taglia grande o gigante, invece, si sviluppano più lentamente: per un completo sviluppo fisico possono essere necessari anche 18 mesi e di conseguenza è opportuno spostare dopo questo momento la data della sterilizzazione.
E per le gatte vale la stessa cosa?
No! Fissare la data di sterilizzazione per le gatte è molto più semplice; questi animali si sviluppano molto rapidamente e la rimozione di ovaie e utero avviene intorno ai 6/7 mesi d’età. In alcuni casi, soprattutto per le gatte che hanno accesso all’esterno e che potrebbero rimanere incinte, è possibile anticipare la data ai 6 mesi.
È vero che prima della sterilizzazione andrebbe fatta fare almeno una cucciolata?
A meno che il vostro animale sia particolarmente pregiato e vogliate fargli fare dei cuccioli, la risposta è no! Anzi, possiamo definire questa convinzione una vera e propria leggenda metropolitana. La maternità non porta nessun beneficio per la salute di cani e gatti (anzi, abbiamo visto che è proprio la sterilizzazione a farlo) e non possiamo certo dire che gli animali sentano la necessità di sperimentare questa condizione.
Cani e gatto soffrono con la sterilizzazione?
Gli interventi di rimozione di ovaie e utero sono cambiati molto nel corso degli anni. La sterilizzazione è diventata un intervento di routine, eseguito tra l’altro in day hospital: gattine e cagnoline entrano in clinica il mattino dell’operazione, per tornare a casa ad una “vita normale” già la sera stessa. Questo è possibile grazie ad un controllo del dolore peri-operatorio e in particolare grazie all’utilizzo di farmaci oppioidi, una categoria di farmaci ampiamente studiata in medicina umana, da qualche anno disponibile anche in veterinaria. Gli oppioidi consentono di “pre-medicare” l’animale per prepararlo al meglio all’operazione: vengono somministrati nella fase che precede l’anestesia per un effetto analgesico totale, che tranquillizza l’animale ancora prima che inizi l’intervento vero e proprio. Come possiamo esserne sicuri? Grazie all’elettrocardiogramma: anche quando iniziano le manualità chirurgiche il battito cardiaco dei nostri pazienti rimane invariato e questo significa che non stanno provando né dolore né ansia.
Quali sono gli effetti collaterali della sterilizzazione?
Gli effetti collaterali della sterilizzazione di cagne e gatte possono essere sostanzialmente 2:
diminuzione del metabolismo;
incontinenza urinaria.
La diminuzione del metabolismo è un effetto collaterale piuttosto comune: dopo l’operazione cagne e gatte tendono ad ingrassare. Si tratta però di una tendenza assolutamente contrastabile con la diminuzione delle razioni di cibo, con l’utilizzo di crocchette specifiche e con l’aumento dell’attività motoria.
L’incontinenza urinaria, che può essere transitoria o duratura, è invece una complicanza assolutamente rara. Anche in questo caso, comunque, esiste una terapia.
Cani e gatti cambiano carattere dopo la sterilizzazione?
Anche questa, è una domanda che ci viene fatta spessissimo prima di un intervento di sterilizzazione. In riferimento a questo articolo, in cui abbiamo parlato di cagne e gatte, la risposta corretta è no. Vogliamo però ricordare che nei maschi la situazione è un po’ diversa: in alcuni casi infatti la castrazione può aiutare cani e gatti a diventare più socievoli e meno competitivi.
Il diabete è una malattia endocrina legata alla produzione di insulina, l’ormone che regola la quantità di zucchero nel sangue e il suo utilizzo da parte delle cellule. Tra gli esseri umani è in continuo aumento, ma anche cani e gatti ne possono essere affetti.
In questo articolo ci concentreremo sui cani e cercheremo di spiegarvi:
Che cos’è il diabete e perché si manifesta
Quali sono i sintomi del diabete nel cane
Come si cura il diabete nel cane
1. Che cos’è il diabete e perché si manifesta
Come anticipato, il diabete è una malattia legata all’insulina; nei cani che ne sono affetti si manifesta un aumento della glicemia, ovvero dei livelli di glucosio nel sangue, che l’organismo non riesce a portare alla normalità. Questa condizione può dipendere da due fattori:
dalla ridotta produzione dell’insulina da parte del pancreas;
dalla ridotta capacità dell’organismo di utilizzare l’insulina prodotta.
Le forme di diabete che si possono manifestare nel cane sono due:
Diabete di tipo 1. Si tratta della forma più comune di diabete nel cane. A causa di una reazione immunologica l’organismo distrugge le cellule beta del pancreas che producono insulina. Questo ormone è dunque quasi totalmente assente nell’organismo e deve essere integrato tramite specifica terapia farmacologica (si parla infatti di “insulino-dipendenza”).
Diabete di tipo 2. Questa forma di diabete, legata principalmente all’obesità, colpisce soprattutto gatti ed esseri umani, mentre interessa molto meno i cani. A causarla non è l’assenza di insulina, che anzi è presente in quantità normali, ma l’incapacità dell’organismo di assorbirla.
2. Quali sono i sintomi del diabete del cane
A differenza di quanto avviene per molte altre patologie, i sintomi del diabete nel cane sono relativamente semplici da riconoscere anche per il proprietario, e ciò consente una diagnosi rapida e l’estemporaneo inizio della terapia adeguata. I sintomi più facilmente riconoscibili sono:
Aumento delle urine (poliuria), è dovuto ad uno squilibrio dei reni causato dall’aumento di zuccheri nel sangue.
Aumento della sete (polidipsia), è strettamente legato all’aumento delle urine e al conseguente bisogno di reintegrare liquidi.
Aumento della fame (polifagia), è dovuto ad una ridotta assimilazione degli zuccheri e dal maggior consumo di proteine e grassi.
Perita di peso, si verifica perché l’organismo non riesce ad utilizzare gli zuccheri come fonte di energia e reagisce consumando molti più grassi di quanti dovrebbe.
Nei casi più gravi possono comparire anche: vomito, diarrea, anoressia e abbattimento generale dell’animale.
3. Come si cura il diabete nel cane
La terapia prevista in caso di diabete nel cane dipende dalla forma della malattia, ma nella maggior parte dei casi consiste nella somministrazione di insulina. La terapia deve essere somministrata quotidianamente attraverso iniezioni sottocutanee da effettuare due volte al giorno in concomitanza dei pasti e nella maggior parte dei casi prosegue per tutta la vita dell’animale.
Recenti studi dimostrano che i cani possono vivere dignitosamente anche in presenza di diabete. La qualità della vita non risente delle cure, ma è fondamentale che queste vengano effettuate con costanza e sotto attento monitoraggio veterinario.
“Gli avanzi diamoli al cane”. Quante volte avete sentito pronunciare questa frase, o voi stessi avete pensato di dare i resti della cena al vostro animale domestico? Sbagliato. Molti alimenti che consumiamo abitualmente, così come i loro metodi di cottura, non sono adatti all’alimentazione di un cane e anzi, in alcuni casi potrebbero essere proprio dannosi.
Sia che si scelga un’alimentazione casalinga, sia che si preferisca la comodità di un mangime commerciale, è infatti importante considerare che anche i cani hanno la necessità di nutrirsi con pasti equilibrati, adatti alle attività svolte, eventualmente alla razza e ovviamente all’età.
In questo articolo cercheremo di darvi qualche consiglio sulla corretta alimentazione del cane nelle varie fasi della sua vita.
Cuccioli
Per crescere in modo sano, ed evitare squilibri nutrizionali con conseguenti condizioni patologiche come il rachitismo, i cuccioli devono mangiare in modo sano e bilanciato, con un’alimentazione che comprenda la giusta quantità di proteine, grassi e calcio.
Nelle prime settimane di vita queste sostanze vengono generalmente assunte tramite il latte materno, ma in caso il cucciolo non possa assumerlo, sarà necessario somministrargli del latte artificiale specifico. Da evitare il latte di mucca in quanto ricco di lattosio, che il cane non riesce a digerire adeguatamente.
Tra la sesta e l’ottava settimana d’età, il cucciolo entra nella fase di svezzamento, dove inizia a mangiare cibo più solido.
Questo cibo può essere di due tipologie, industriale o casalingo. Il mangime industriale è quello che comunemente si trova nei supermercati e nei negozi per animali, e si suddivide a sua volta in secco (crocchette), umido (scatolette) e misto (crocchette bagnate). La scelta fra queste tre tipologie è più una questione di abitudine e comodità e non ce n’è uno che sia più consigliato degli altri. Generalmente i mangimi industriali per cuccioli (di buona qualità!) sono formulati per rispondere alle esigenze nutritive dei cani nei primi mesi di vita e scongiurare l’insorgenza di patologie legate proprio ad una cattiva alimentazione. Se comunque si preferisce preparare i pasti in casa, è fondamentale rivolgersi ad un veterinario esperto in nutrizione in modo da calcolare con esattezza fabbisogno energetico e nutrizionale.
Per quanto riguarda il numero di pasti giornalieri, ricordiamo che nei primi tre giorni di vita il cucciolo dovrà mangiare ogni due ore, sia di giorno che di notte. Successivamente dovrà mangiare quattro volte al giorno fino ai 3 mesi, tre volte fra i 3 e i 6 mesi e da quel momento in poi si passerà a due pasti al giorno.
Cani adulti
Quando il cane diventa adulto la sua l’alimentazione viene detta di “mantenimento”: l’obiettivo non è più quello di aiutarlo a crescere, ma di mantenerne il più invariati possibile massa e volume.
Come per i cuccioli, anche per il cane adulto il mangime si può suddividere in industriale e non, ed i nostri consigli in proposito rimangono gli stessi: se scegliete di cucinare a casa chiedete consiglio al veterinario, se invece propendete per l’acquisto di prodotti industriali prediligete sempre prodotti di buona qualità. Orientarsi tra tutte le aziende che producono alimentazione per animali non è facile e una fascia di prezzo alta non è sempre sinonimo di qualità elevata.
Quando acquistate tenete sempre presente che un buon cibo per cani adulti deve essere composto per almeno il 35% da proteine e quindi deve contenere più carne che cereali. Se le percentuali mancano, ricordate che sulle etichette gli ingredienti devono essere riportati in ordine decrescente di peso; di conseguenza se la prima voce è “cereali”, sappiate che il prodotto scelto non è di qualità. Ecco invece alcune cose che dovete evitare a piè pari: se le leggete sulla confezione, passate subito oltre. Ci riferiamo a:
Derivati della carne, ovvero scarti di macellazione come interiora di suini, equini, bovini, ovini, teste e zampe, organi interni, ma anche becchi, unghie e piume.
Estratti di proteine vegetali, come glutine di mais e frumento.
Farine di carne, espressione che indica che la materia prima è stata ottenuta dal riciclaggio delle carcasse.
A chi invece si cimenta nell’alimentazione casalinga ricordiamo di preparare il cibo preferendo cotture al vapore o bollitura ed evitando condimenti grassi. Particolare attenzione anche ai cibi crudi, in quanto alcune carni, come il maiale e il pollo, non possono venire somministrate crude al cane perché c’è il rischio che questo contragga malattie come il morbo di Aujeszky o forme di salmonellosi.
Cani anziani
Quando un cane diventa anziano, e si rivede parzialmente la sua alimentazione, è necessario ricordare che:
il metabolismo rallenta del 10-20% circa;
la massa magra diminuisce e quella grassa aumenta;
l’attività fisica generalmente è meno intensa;
Questi fattori possono causare aumento del peso ed obesità, pertanto è consigliato ridurre l’apporto quotidiano di cibo anche del 30%. Chiaramente questo passaggio deve essere fatto gradualmente, in modo da non destabilizzare il metabolismo del cane.
Un altro elemento al quale prestare attenzione è la digeribilità degli alimenti perché l’apparato digerente di un cane anziano funziona molto più lentamente. Allo stesso modo fate attenzione alle fibre: anche l’intestino è un po’ più lento e per una corretta regolarità è meglio assicurarsi che il proprio cane ne assuma abbastanza.
Anche per i cani anziani esistono in commercio ottimi mangimi specifici; a chi preferisce preparare i pasti in autonomia ricordiamo che i nostri veterinari sono a disposizione per consigli e piani alimentari personalizzati!
La leishmaniosi è una malattia infettiva e contagiosa presente in oltre 70 paesi del mondo.
E’ provocata da un microscopico parassita e colpisce principalmente il cane e raramente anche l’uomo.
SI trasmette attraverso la puntura di un insetto, il Phlebotomus Papatasi, comunemente detto flebotomo o pappatacio. Il flebotomo è delle dimensioni di qualche mm e somigliante ad una piccola zanzara, anche per il fatto che, come quest’ultima, quando la femmina deve portare a maturazione le uova si nutre del sangue dell’ospite.
La leishmaniosi canina è la terza malattia trasmessa da vettori più importante al mondo, sia per diffusione che per gravità. E’ ormai presente in tutta Italia e benché esistano dei farmaci e delle cure per tenere sotto controllo i sintomi e l'evolversi dell'infezione, dalla leishmaniosi il cane può difficilmente guarire; ecco perché la prevenzione è fondamentale così come riconoscerne per tempo i sintomi.
Quando e dove il tuo cane è più a rischio Leishmaniosi
I pappataci prediligono le aree collinari e con abbondante vegetazione, tuttavia, possono essere presenti anche in ambienti domestici.
Di giorno rimangono tendenzialmente inattivi in luoghi bui e riparati (anfratti di muretti, incavi di alberi, angoli di stalle):la loro attività è, infatti, prevalentemente crepuscolare e notturna con picchi di intensità intorno alla mezzanotte e nell’ora che precede il sorgere del sole.
Le aree del corpo che i flebotomi prediligono per pungere sono le pinne auricolari, il naso e l’addome.
In Italia i pappataci sono generalmente più attivi da maggio a ottobre. Le zone litoranee del centro e del sud sono le aree a rischio maggiore ma negli ultimi dieci anni si è registrato un aumento dell'area di diffusione della malattia, ora presente anche in molte aree nel nord Italia.
Per questo, purtroppo, presso la nostra clinica i nostri veterinari hanno individuato come positivi alla Leishmania anche cani nati e cresciuti a Brescia, in alcuni casi nel pieno centro cittadino.
I sintomi
La leishmaniosi può rimanere asintomatica per molto tempo (da 3 mesi a 7 anni). In ogni caso, i primi sintomi possono essere appetito capriccioso, dimagrimento e stanchezza.
Tra i segni più evidenti della malattia possono poi insorgere alterazioni della pelle e del mantello (dermatite con forfora, perdita di pelo, ulcere, pustole e ipercheratosi nasale e/o digitale).
Seguono sanguinamento dal naso, ingrossamento dei linfonodi, problemi agli occhi (congiuntivite, uveite, ecc.), problemi renali, alle articolazioni e ad altri organi interni, questi ultimi in genere rilevabili dal veterinario tramite approfondimenti.
Si tratta di una malattia cronica e grave, soprattutto se non diagnosticata precocemente.
Per questo è necessario verificare quanto prima se il nostro animale ha contratto l'infezione.
La diagnosi può essere effettuata tramite esame sierologico specifico, che potrà essere attendibile dopo circa sei mesi dal momento in cui è stata contratta l’infezione.
La prevenzione prima di tutto
Per evitare che il nostro cane contragga la Leishmaniosi la prevenzione è fondamentale.
L’utilizzo nel cane di repellenti contro i pappataci rappresenta uno strumento prezioso, poco costoso, di facile reperibilità e applicazione. Questi, scelti in base alle proprie esigenze e su indicazione del veterinario, sono:
Formulazioni spot-on: attive per 3 settimane circa, consigliate se si porta il cane ad es. in vacanza in zone a rischio, oppure come trattamento di routine, da ripetere ogni mese. Vanno somministrate una settimana prima della partenza applicando il prodotto sulla cute dell’animale seguendo le indicazioni riportate sulla confezione
Collari: attivi da 4 a 8 mesi. Sono consigliati soprattutto per cani che vivono all’aperto, anche di notte, o in un’area endemica per leishmania. Il collare va applicato da 2 a 10 giorni (a seconda del tipo di collare) prima dell’introduzione del cane in area endemica e utilizzato e sostituito secondo le indicazioni della casa produttrice.
Il vaccino: va utilizzato solo in cani sieronegativi e a partire dai 6 mesi d’età. La vaccinazione non protegge il cane al 100% e non deve quindi escludere le altre misure preventive.
Ricordiamo di non lasciare il cane all’esterno nelle ore notturne se vi trovate in zone a rischio leishmaniosi.
Esiste una cura per la Leishmaniosi?
Attualmente la guarigione o la totale remissione dell’infezione sono possibili, anche se legate a caratteristiche intrinseche all’animale che variano di soggetto in soggetto.
Con una diagnosi precoce, la cura permette altresì di gestire i sintomi e tenere sotto controllo la malattia garantendo una buona qualità di vita.
La Clinica Veterinaria si propone come punto di riferimento per la prevenzione, la diagnosi e la cura della leishmaniosi. Attraverso diversi test diagnostici i nostri specialisti individuano la scelta terapeutica migliore. I farmaci vengono scelti in base allo stadio in cui la malattia si presenta e con attenzione al monitoraggio degli effetti collaterali e relativi eventuali aggiustamenti della terapia. In una malattia così variegata e complessa, è particolarmente importante disporre dei mezzi diagnostici e dei servizi specialistici collegati: la clinica in tal senso è attrezzata per effettuare visite oculistiche, esami citopatologici, prelievi di midollo osseo e trasfusioni di sangue in caso di necessità.
In passato l’educazione cinofila aveva il solo obiettivo di tenere sotto controllo i cani o addestrarli a determinati compiti insegnando loro come rispondere diligentemente ai comandi del proprio padrone.
Oggi, invece la prospettiva è cambiata radicalmente, si cerca infatti di porsi dal punto di vista degli animali e di considerare che anche loro provano delle emozioni e delle motivazioni, l’obiettivo che ci si pone è che possano integrarsi in maniera serena ed equilibrata nella società umana.
Partendo da questi presupposti la parola educare recupera allora il suo significato originale, ovvero quello di ex-ducere, che significa tirare-condurre fuori, ossia aiutare il cucciolo ad esprimersi in maniera efficace e guidarlo attraverso le sfide che la vita di tutti i giorni gli porrà: le relazioni famigliari, la passeggiata, l’incontro con estranei, l’interazione con i propri simili, il viaggio in auto…
Per fare un esempio, un cucciolo che davanti a una persona estranea si avvicina fiducioso, ricerca il contatto e lo riceve di buon grado, senza che questo contatto faccia scaturire in lui emozioni di paura (mi immobilizzo, mi ritraggo, ringhio) o di estrema eccitazione (abbaio, salto addosso senza controllo, mordicchio mani e vestiti), è un cucciolo ben educato. Un cucciolo che al contrario appare particolarmente timido o eccessivamente eccitato, è un cucciolo in difficoltà. In questo caso se il proprietario ricorre a un comando (come un no, un basta o un seduto) per cercare di controllare la sua reazione senza comprendere il suo stato emozionale, non lo sta educando, sta solo cercando di controllarlo.
La punizione si rivela sempre più chiaramente uno strumento poco efficace in campo educativo, in quanto tende a suscitare emozioni di paura (nel momento in cui si alza la voce o peggio le mani) o di rabbia e frustrazione (nel momento in cui ci si limita a inibire il cucciolo nei suoi intenti). In entrambi i casi non aiuta il cucciolo a gestire le proprie emozioni ne gli autocontrolli, peggiora invece le sue capacità di apprendimento e alla lunga deteriora la relazione tra cucciolo e proprietario. Messo da parte il concetto di punizione, non significa che il cucciolo possa fare quello che voglia senza alcuna regola, al contrario andrà guidato verso ciò che si ritiene corretto che faccia, proponendogli di volta in volta delle alternative e premiandolo con un bel complimento ogniqualvolta di sua iniziativa attuerà il comportamento desiderato. Se il cane potesse parlare a tal riguardo, forse si esprimerebbe così: “Non dirmi sempre cosa non devo fare, dimmi cosa vuoi che io faccia”.
Per tradurre il concetto in maniera pratica è utile fare qualche esempio. Supponiamo che il cucciolo venga sorpreso a mordere il telecomando del televisore o un tappeto della casa e ci sia l’esigenza di farlo smettere, sarà possibile interrompere questa azione indesiderata utilizzando un tono della voce sorpreso ma allegro: “Ma cosa stai facendo birbante?” e proporre immediatamente al piccolo un oggetto alternativo (una treccia in corda, un legnetto, un ossetto di pelle di bufalo). Affinché l’oggetto diventi però realmente interessante agli occhi del cucciolo andrà caricato di emozioni positive: “ma guarda che bella treccia che ho trovato, vieni a vederla!”. Limitarsi a sventolare un oggetto qualsiasi con tono irritato e infastidito, pensando di “distrarre” così il cucciolo, non può sortire alcun effetto; il cucciolo infatti comprende che quello che gli si sta proponendo non è altro che “un’esca” e che nessuno ha davvero intenzione di giocare con lui.
Lo stato emozionale della persona deve sempre essere coerente con ciò che vuole fare o vuole esprimere, in caso contrario non è possibile apparire credibili agli occhi del cane. Il metodo dell’alternativa può essere messo in atto in tante altre situazioni, come ad esempio la scelta del luogo di riposo. In questo modo se non si ha piacere che il cane salga sul divano o sul letto basterà invitarlo ad andare sulla sua copertina o sulla cuccia, spiegandogli che quello è il suo posto ed il posto più bello del mondo. In questo modo sarà stato possibile ottenere il risultato desiderato avendo elicitato emozioni positive come la gioia senza aver fatto emergere emozioni negative come la rabbia e la frustrazione, che si accompagnano spesso a comportamenti impulsivi e di natura aggressiva. Non va infatti dimenticato che tutto ciò che viene negato acquista un valore inestimabile e può innescare dinamiche di competizione e di conflitto all’interno delle relazioni familiari.
Risulta chiaro come in questa nuova ottica educativa il proprietario non è più il padrone, il celebre “capobranco” a cui il cane ubbidisce perché ne ha timore, ma è la guida a cui il cane si riferisce perché ha fiducia in lui. Il proprietario diventa più simile a una figura genitoriale che sa rassicurare il cucciolo quando spaventato, sa calmarlo quando agitato, sa rispondere ai suoi bisogni e indirizzarlo verso comportamenti appropriati. Un medico veterinario esperto in comportamento può accompagnare il proprietario in questo arduo compito, fornendogli gli strumenti utili a comprendere le esigenze e le emozioni del proprio cane e a comunicare con lui senza fraintendimenti.